
Juve, i costi altissimi del fallimento: 380 milioni di investimenti sbagliati dal 2022. La gestione Elkann è un disastro?
Dalla fine dell’era Agnelli, chiusa nel novembre 2022 con le dimissioni di Andrea Agnelli dopo dodici anni di presidenza, la Juventus non è più riuscita a ritrovare la propria identità vincente. La gestione di John Elkann, erede della famiglia Agnelli e oggi principale punto di riferimento del club, si è rivelata finora un percorso accidentato, caratterizzato da scelte discutibili, cambi di rotta continui e investimenti fallimentari. In tre anni, tra acquisti di giocatori, esoneri e ristrutturazioni dirigenziali, la società ha bruciato quasi 380 milioni di euro, ottenendo in cambio solo una Coppa Italia e tanta instabilità.
Dal dopo-Agnelli al caos gestionale
La sera del 28 novembre 2022 segna la fine di un’epoca: Andrea Agnelli lascia dopo aver riportato la Juve al vertice post-Calciopoli, ma anche dopo anni di eccessi di spesa e scandali giudiziari. Da allora, Elkann prende in mano la situazione, ma la “nuova era” non decolla. Il club cambia continuamente allenatori e dirigenti, senza un progetto chiaro. Nel giro di pochi anni, si alternano Sarri, Pirlo, Allegri (bis), Motta e Tudor, e ora si parla di nuovi possibili tecnici come Palladino, Spalletti o Mancini.
Sarri, vincitore dello scudetto nel 2020, fu mandato via dopo l’eliminazione in Champions contro il Lione. Pirlo, considerato un possibile “nuovo Guardiola”, non convinse nonostante i due trofei conquistati. Poi il ritorno di Allegri, che aveva incarnato il “pragmatismo bianconero”, terminato bruscamente nel 2024 dopo la vittoria in Coppa Italia e un clamoroso sfogo pubblico. Seguirono il breve interregno di Montero, il tentativo di rilancio con Motta (fallito dopo pochi mesi) e infine Tudor, esonerato anch’egli dopo appena 218 giorni, complice una serie di sconfitte pesanti contro Como, Real Madrid e Lazio.
Dirigenti e strategie: un continuo via vai
La confusione non ha riguardato solo la panchina, ma anche i vertici societari. Dopo l’uscita di Agnelli, Gianluca Ferrero è diventato presidente, mentre la direzione sportiva ha cambiato più volte volto: via Paratici, poi Cherubini, quindi Giuntoli, licenziato nel giugno 2025, e infine l’arrivo del francese Daniel Comolli, recentemente nominato amministratore delegato. Questo continuo turnover ha contribuito a creare instabilità e a disperdere risorse economiche e progettuali.
Il conto economico di un declino
Dal 2019 al 2025 il bilancio del mercato juventino registra un disavanzo superiore ai 310 milioni di euro, mentre il totale degli investimenti errati supera i 380 milioni. Una cifra impressionante se confrontata con i risultati sportivi: nessun titolo di prestigio internazionale, due Coppe Italia e una Supercoppa. A pesare non sono solo le spese per i giocatori, ma anche i contratti milionari di allenatori licenziati, ancora a libro paga.
La crisi Elkann e il riflesso sulla Juventus
Le difficoltà della Juventus rispecchiano quelle del gruppo industriale controllato da John Elkann. Problemi nel settore automobilistico con Stellantis, risultati deludenti della Ferrari, crisi editoriale con Repubblica e la recente cessione di Iveco sono i segnali di una gestione complessa e in affanno. La Juventus, storicamente il fiore all’occhiello della famiglia Agnelli, non è rimasta immune da questa involuzione generale.
Il problema, oggi, non è l’ennesimo tecnico esonerato, ma la mancanza di una guida stabile e coerente ai vertici. La Juventus ha perso la sua antica solidità — e il costo di questo fallimento, economico e d’immagine, è altissimo.