
Delitto di via Poma, un libro ricostruisce il caso e le prove ignorate

Un nuovo, clamoroso capitolo si apre nel misterioso delitto di via Poma, a 35 anni esatti dall’omicidio di Simonetta Cesaroni, la ventenne romana uccisa il 7 agosto 1990 mentre lavorava all’interno della sede dell’Associazione Italiana Alberghi della Gioventù (Aiag). La svolta arriva anche grazie al ritrovamento di un dattiloscritto del 1996, firmato dal giornalista Gian Paolo Pelizzaro e oggi ripubblicato insieme a Giacomo Galanti nel libro “L’intrigo di via Poma”. Il documento, all’epoca mai pubblicato e acquisito agli atti su richiesta del pm Settembrino Nebbioso, conteneva nomi, società e collegamenti tra via Poma, via Gradoli, l’Olgiata e alcuni ambienti legati ai servizi di intelligence.
E secondo quanto emerge da un’ordinanza della gip Giulia Arcieri del 19 dicembre scorso, ci sono elementi sufficienti per riaprire l’inchiesta, in particolare alla luce di documenti riservati dei servizi segreti rinvenuti nell’appartamento teatro dell’omicidio. «Verosimilmente per proteggere soggetti e/o interessi dei servizi segreti», scrive la giudice, ipotizzando un depistaggio finalizzato a coprire figure istituzionali o legate agli apparati di sicurezza.
Uno dei punti chiave dell’indagine riguarda la sparizione delle presenze lavorative dell’Aiag nel periodo compreso tra il 10 luglio e il 13 novembre 1990. Un vuoto strategico che ha coperto proprio il 7 agosto, giorno dell’omicidio. Solo recentemente, questi documenti sono riemersi nell’archivio privato del padre di Simonetta, Claudio Cesaroni, e hanno permesso alla gip di riaprire una pista mai esplorata fino in fondo. «Secondo il contratto, i dipendenti erano tenuti a essere in ufficio il martedì pomeriggio, ma quel giorno tutti negarono di esserci», si legge nel libro.
Una fonte citata nel testo racconta che quel pomeriggio qualcuno era con Simonetta, ma il proprio nome non compare nei registri. Interrogato all’epoca, avrebbe dichiarato di aver lavorato fino alle 14 e poi di essere stato con i genitori. «Un alibi mai verificato», scrivono gli autori.
L’ipotesi più inquietante avanzata da Pelizzaro e Galanti riguarda la manipolazione della scena del crimine. La stanza dove fu trovato il corpo di Simonetta, colpita con 29 coltellate, appariva sorprendentemente in ordine, con la porta chiusa a chiave dall’interno ma senza le sue chiavi. Un depistaggio orchestrato da chi aveva accesso all’ufficio, conosceva gli orari dei dipendenti e sapeva come far sparire elementi compromettenti. «Solo dei professionisti potevano modificare e inquinare a tal punto la scena del delitto», è la convinzione dell’autore.
Secondo il libro, l’Aiag sarebbe stata interessante per gli apparati di sicurezza anche per la sua capacità di raccogliere dati sugli studenti, italiani e stranieri, ospitati negli alberghi della gioventù. La morte di Simonetta avrebbe potuto compromettere archivi sensibili, spingendo qualcuno a “bonificare” la scena e proteggere nomi e ambienti di rilievo istituzionale.
Il dattiloscritto evidenzia anche le pressioni subite dagli inquirenti, gli errori strategici dell’istruttoria, le false piste e il ruolo oscuro di testimoni legati ai servizi, come Roland Voller, in contatto con utenze del Ministero dell’Interno. Tutto farebbe pensare a un movente inconfessabile e a un omicidio coperto per salvaguardare interessi superiori. «Se nel delitto di via Poma qualcuno ha depistato, vuol dire che esiste un colpevole intoccabile, un movente inviolabile e dei complici da proteggere», si legge nel libro.
La nuova inchiesta punta ora a verificare queste omissioni, ricostruire i turni di quel giorno e approfondire i legami tra Aiag e ambienti dei servizi. Dopo 35 anni di misteri e archiviazioni, il caso Simonetta Cesaroni potrebbe finalmente tornare al centro di una ricerca di verità mai davvero conclusa.