
Pensione – Chi ha iniziato a lavorare nel 2022 non ci andrà prima dei 71 anni. Lo studio

Chi ha iniziato la propria carriera lavorativa nel 2022 dovrà probabilmente attendere fino ai 71 anni per avere accesso alla pensione. È quanto si legge nell’analisi dell’OCSE “Pensions at a Glance”, che colloca l’Italia tra i Paesi con l’età pensionabile più elevata, seconda soltanto alla Danimarca.
Le ragioni di questo scenario sono diverse.
In primo luogo, in Italia l’età pensionabile è collegata direttamente all’aspettativa di vita: più gli individui vivono a lungo, più anni devono rimanere attivi nel mercato del lavoro. Questo meccanismo si innesta in un sistema già gravato da una spesa previdenziale molto elevata, che nel 2025 arriverà al 16,2% del PIL — la più alta tra le economie OCSE — e che dovrebbe toccare il 17,9% nel 2035.
Un altro fattore critico è il calo demografico: la popolazione in età lavorativa (20-64 anni) si ridurrà del 35% tra il 2022 e il 2062. Ciò significa che nel 2052 ci saranno 78 persone oltre i 65 anni ogni 100 adulti in età lavorativa, ben al di sopra della media OCSE (54 su 100). Con un sistema pensionistico a ripartizione, in cui i contributi dei lavoratori finanziano le pensioni correnti, un numero minore di occupati implica meno risorse disponibili e un peso maggiore sul bilancio complessivo.
A complicare ulteriormente il quadro c’è la fragilità del mercato del lavoro: occupazione discontinua, contratti temporanei e carriere frammentate riducono la stabilità contributiva dei giovani. Questo comporta che le nuove generazioni, pur con lo stesso impegno contributivo dei loro genitori, si troveranno a ritirarsi dal lavoro molto più tardi, in un contesto economico meno sicuro e con assegni pensionistici più esposti all’inflazione e alla pressione fiscale.
In media, il tasso di sostituzione stimato resta intorno all’83% dell’ultimo stipendio, ma tale percentuale rischia di non garantire un reale benessere a fronte di un costo della vita crescente e di un sistema sociale in affanno.