
Pensioni, il Governo Meloni punta a congelare lo scalino Fornero

Il capitolo pensioni sarà uno dei più delicati della prossima manovra economica. Dal 2027 scatterà infatti un nuovo adeguamento automatico dell’età pensionabile alla speranza di vita, come previsto dalla legge Fornero. Significa tre mesi in più di lavoro: dai 67 anni attuali si passerebbe a 67 anni e 3 mesi per la pensione di vecchiaia, mentre i requisiti per quella anticipata salirebbero a 43 anni e un mese di contributi per gli uomini e 42 anni e un mese per le donne. Il governo ha però annunciato di voler bloccare l’aumento, con un rinvio di almeno due anni.
Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha chiarito l’intenzione di sospendere l’automatismo, ma la misura avrebbe un costo tra i 300 milioni e 1 miliardo di euro. La Ragioneria generale dello Stato ha sottolineato che fermare il meccanismo avrebbe effetti sugli stessi assegni pensionistici: senza lo “scalino” del 2027, la pensione media dei lavoratori dipendenti scenderebbe dell’8,9%, mentre per gli autonomi del 7,9%. Il motivo è tecnico: il sistema si regge su due meccanismi paralleli, l’aumento dell’età pensionabile e l’adeguamento dei coefficienti di trasformazione, che incidono sull’importo finale dell’assegno. Bloccare solo uno dei due meccanismi significa dunque pensioni più basse.
Secondo i calcoli della Ragioneria, cancellare del tutto l’adeguamento automatico all’aspettativa di vita costerebbe entro il 2045 circa 300 miliardi di euro, pari a 15 punti di Pil, cifra destinata a raddoppiare entro il 2070. Dubbi arrivano anche sull’ipotesi, sostenuta dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon, di permettere il pensionamento anticipato a 64 anni sommando previdenza pubblica e complementare: per i tecnici del Tesoro questa scelta “indebolirebbe la sostenibilità del sistema e ridurrebbe le grandezze di finanza pubblica”.
Ma mentre è aperto il dibattito sui criteri per l’età pensionabile, c’è una statistica interessante che riguarda invece la durata della vita lavorativa nei diversi Paesi d’Europa. Infatti, nonostante l’età pensionabile fissata a 67 anni – la più alta d’Europa insieme alla Grecia – l’Italia presenta una delle durate di vita lavorativa più basse: in media 32,8 anni, contro i 43,8 dell’Olanda, i 43 della Svezia e i 42,5 della Danimarca. La media Ue è di 37,2 anni e solo la Bulgaria fa peggio. Alla base ci sono carriere lavorative frammentate, lunghi periodi di precariato e numerosi canali di uscita anticipata. L’Inps, nel suo ultimo rapporto, segnala che l’età media effettiva di pensionamento in Italia è salita a 64 anni e 8 mesi, ancora bassa rispetto agli standard europei. Questo comporta un elevato livello di spesa pensionistica, aggravato dal fatto che il tasso di sostituzione (il rapporto tra pensione e ultimo stipendio) resta tra i più alti in Europa, circa 15 punti sopra la media Ue.
Secondo uno studio della Cna, la scarsa durata della vita lavorativa in Italia dipende anche dall’ingresso tardivo dei giovani nel mercato del lavoro: nel 2024 solo il 4,7% degli occupati aveva tra i 15 e i 24 anni, contro il 10,1% della Germania e il 9,1% della Francia. Il massiccio ricorso a contratti precari per gli under 24 peggiora ulteriormente il quadro. “È indispensabile invertire questa tendenza non solo per garantire la sostenibilità del sistema previdenziale, ma anche per evitare la crisi del nostro sistema produttivo, già in difficoltà per mancanza di ricambio generazionale”, sottolinea la Cna.