
“Trump, la coscienza collettiva è più forte di lui e dei fondi speculativi” – Torino e il valore della sostenibilità
La coscienza collettiva più forte di Trump e dei fondi speculativi: Torino e il valore della sostenibilità
In un contesto internazionale in cui le spinte verso la deregolamentazione e l’abbandono degli impegni ambientali sembrano farsi più forti — basti pensare all’influenza di Trump e di alcuni grandi fondi d’investimento che attendono il “liberi tutti” sul fronte della sostenibilità — a Torino si consolida una visione diversa. La città e la sua Camera di Commercio stanno dimostrando che la consapevolezza delle persone e la volontà dal basso possono superare le oscillazioni delle politiche globali.
A raccontarlo è Guido Bolatto, segretario generale della Camera di Commercio di Torino e tra i promotori di Torino Social Impact, un laboratorio di innovazione sociale che unisce istituzioni, imprese e terzo settore per costruire un nuovo modello economico basato sull’impatto e sulla responsabilità. Secondo Bolatto, anche se a livello internazionale si percepisce un rallentamento nell’impegno verso la sostenibilità — con l’Europa che sembra relegare l’economia sociale ai margini delle politiche economiche — sul territorio piemontese sta accadendo l’opposto: cresce la partecipazione, aumenta la consapevolezza e si moltiplicano i progetti.
Un esempio concreto arriva dal settore turistico: gli albergatori torinesi si sono rivolti alla Camera di Commercio per ricevere supporto nella certificazione ESG e nella transizione verso modelli più sostenibili. Piccole strutture a conduzione familiare e agriturismi hanno intrapreso percorsi formativi e ottenuto certificazioni ambientali, dimostrando che l’interesse non è solo delle grandi catene, ma anche delle realtà locali.
L’attenzione per l’impatto sociale si riflette anche in Torino Social Impact, che nell’ultimo anno ha registrato oltre cento nuove adesioni, soprattutto da organizzazioni giovani e innovative. Questo dinamismo testimonia una società civile che non rinuncia ai valori della sostenibilità, nonostante il clima di incertezza economica e politica.
Tra i progetti più significativi c’è la Borsa dell’Impatto Sociale, un’iniziativa che mira a creare un mercato dedicato agli investimenti a valore sociale, in collaborazione con professionisti e studi legali che lavorano gratuitamente per costruire un sistema trasparente e credibile. Ora la sfida è trovare investitori e partner istituzionali, come le grandi fondazioni bancarie e Cassa Depositi e Prestiti, per dare vita a una vera piattaforma di scambio.
Bolatto sottolinea anche come Torino sia diventata un punto di riferimento nazionale per l’economia sociale: la città metropolitana ha affidato alla rete di Torino Social Impact la redazione del Piano per l’Economia Sociale, e il gruppo è stato coinvolto anche nel tavolo nazionale che lavora al Piano del Ministero dell’Economia. La città, grazie alla sua rete di fondazioni, associazioni e cooperative, si è ritagliata un ruolo centrale in Italia e in Europa.
Ma Torino deve ancora affrontare grandi sfide strutturali. L’economia cittadina resta fortemente legata al settore dell’automotive, con circa 90.000 lavoratori impiegati nell’indotto. La transizione all’elettrico e la concorrenza internazionale stanno mettendo a rischio molte aziende locali, in particolare quelle che producono componenti ormai destinate a scomparire, come le marmitte. Alcune imprese stanno cercando soluzioni aprendo stabilimenti all’estero, ma questo comporta la perdita di occupazione sul territorio.
Di seguito un estratto dell’intervista rilasciata da Bolatto a Giampaolo Cerri, per la rivista Vita
C’è la scommessa dell’Ai
Certo, il fatto di avere qui la Fondazione per l’intelligenza artificiale, l’unica in Italia, è un’opportunità e dovremmo essere capaci di sfruttarla al massimo. Intanto arriveranno qui 150 giovani ricercatori da tutto il mondo. E già questa sarà una bella iniezione di competenze, di innovazione. Però saranno soprattutto le nostre aziende e i nostri giovani a dover sfruttare l’opportunità, magari per creare nuove aziende, come già sta succedendo, che si occupano di intelligence artificiale. E l’Ai è una sfida da anche per l’economia sociale, perché noi ci abbiamo lavorato un po’ coi prodotti sul digitale.
Qual è il punto, in quel campo?
L’importare anche queste tecnologie, applicarle ai processi dell’economia sociale, sicuramente porterà rivoluzioni: penso a tutta l’assistenza agli anziani, tanto per fare un esempio. Quanto ovviamente l’analisi e la sensoristica magari può aiutare gli anziani a vivere a casa loro più a lungo, senza dover necessariamente essere confinati in un Rsa. Quindi può portare a miglioramento di qualità della vita ma, dall’altra parte, è una sfida per il mondo che gestiva quel tipo di assistenza, perché vuol dire qualificare in maniera completamente diversa da un’assistenza molto più fisica, a un’assistenza invece immateriale, a una capacità di leggere i dati.
Servizi da reinventare.
Esatto, da reinventare e riqualificare. Non ci sarà più bisogno di chi alza le persone e le metta sulla carrozzina, ma di chi, da un monitor, capisca dai dati, dai parametri, cosa fare. La cooperativa sociale che fa assistenza agli anziani, che ha magari una trentina di dipendenti, come può pensare di avere la capacità di investire in intelligenza artificiale, formare le proprie persone all’uso? Dovremmo essere noi, assieme alla Fondazione per l’intelligenza artificiale, alle centrali cooperative di appartenenza, a dargli gli strumenti per affrontare questa sfida. Credo che questo sarà l’obiettivo dei prossimi anni, sicuramente del prossimo e di qui in avanti. A breve firmeremo un accordo proprio con una Fondazione Ai4Industry, per fare questo lavoro su tutti gli ambiti produttivi.
Ottimista o pessimista, Bolatto?
Cerco di essere un ragionevole ottimista. Abbiamo grosse opportunità, sta a noi sfruttarle. Enti come il nostro possono fare molto, perché, con le fondazioni bancarie, siamo ormai gli unici che hanno un po’ di autonomia finanziaria per fare qualche investimento, un po’ di credibilità nei confronti delle aziende e anche dell’economia sociale, perché ce la siamo costruita in questi anni. Per tornare ai 130 ricercatori, la sfida sarà portarli sui campi nostri, sull’economia sociale. La loro creatività porterebbe benefici.
Segretario ma questa sua sensibilità, abbastanza rara nella Pubblica amministrazione, da dove nasce?
La formazione giovanile che si fa in parrocchia, fra campi estivi, un po’ di volontariato al Cottolengo. Poi c’è stata anche la contaminazione positiva del Gruppo Abele. Un po’ di politica a livello locale (è stato sindaco “civico” del comune di Salassa, nel Canavese, ndr)
Sempre con l’idea di provare a cambiare le cose?
Esatto. Adesso mi piace dire che, forse, da qui si riescono a cambiare di più le cose che non facendo politica, negli enti locali o anche al Parlamento, dove alla fine sei un numero. Da qui invece – per carità in una posizione periferica – si riescono a fare delle cose concrete.