
L’Europa rallenta, l’Italia arretra – Tra energia cara e cervelli in fuga, il rischio è il declino. L’analisi di Fabrizio Rosboch
L’Europa rallenta, l’Italia arretra: tra energia cara e cervelli in fuga, il rischio è il declino. L’analisi di Fabrizio Rosboch
C’è un dato che racconta, da solo, il lento scivolamento dell’Europa fuori dal centro del mondo: nel 1993 il Vecchio Continente produceva il 20% del PIL globale. Oggi, quella quota è scesa al 13%. E l’Italia, che un tempo era tra i motori industriali d’Europa, oggi fatica persino a tenere il passo.
Il cuore del problema è duplice: da un lato, una crisi energetica che ha messo in ginocchio le imprese; dall’altro, una crisi demografica che svuota il Paese di giovani e competenze. Il risultato è un sistema produttivo che perde competitività, mentre chi dovrebbe sostenerlo – lo Stato, l’Europa – sembra muoversi con lentezza e indecisione.
Energia: chi produce chiude, chi intermedia guadagna
Negli ultimi anni, le aziende manifatturiere italiane hanno dovuto affrontare una tempesta perfetta. I costi dell’energia sono schizzati alle stelle, con aumenti superiori al 50% rispetto al 2024. Le imprese energivore – siderurgia, ceramica, chimica – si sono trovate a pagare bollette da capogiro, mentre i concorrenti tedeschi o francesi beneficiavano di politiche più lungimiranti.
E mentre le fabbriche chiudono, gli intermediari dell’energia festeggiano. I bilanci delle utilities mostrano profitti netti superiori al 50% in alcuni casi, con margini operativi da multinazionali tech. Un paradosso tutto italiano: chi crea lavoro e valore è in crisi, chi rivende energia prospera.
La competitività industriale è a rischio
La differenza nel costo dell’energia tra Italia e Germania è ormai strutturale. Le imprese italiane pagano fino a 110 €/MWh, contro i 65 tedeschi. Questo divario si traduce in minori investimenti, delocalizzazioni e perdita di quote di mercato. Eppure, la reindustrializzazione è possibile. Servirebbe però un piano serio, coordinato, con investimenti pubblici e privati, e una visione strategica.
Mario Draghi lo ha detto chiaramente: l’Europa deve mobilitare almeno 800 miliardi di euro l’anno per restare competitiva. Ma tra vincoli di bilancio, burocrazia e divisioni politiche, il rischio è che si continui a parlare senza agire.
Demografia: il Paese si svuota
A rendere il quadro ancora più drammatico è la crisi demografica. L’Italia perde ogni anno circa 250.000 abitanti. Di questi, 190.000 sono giovani che scelgono di lavorare all’estero. Un’emorragia silenziosa, ma devastante. Secondo l’OCSE, entro il 2060 il Paese perderà 12 milioni di lavoratori attivi. Il PIL pro capite potrebbe scendere del 22%.
Nel primo semestre del 2025, le nascite sono state appena 166.000, contro 327.000 decessi. L’età media è salita a 46,4 anni. Il rapporto tra anziani e giovani è ormai di 2 a 1. Un Paese che invecchia, si impoverisce e non riesce a trattenere i suoi talenti.
Serve un intervento immediato
La situazione è grave, ma non irreversibile. Le imprese chiedono energia a prezzi sostenibili, infrastrutture moderne, incentivi alla produzione e politiche industriali coerenti. L’efficienza energetica può diventare un motore di rilancio, ma servono investimenti: almeno 5,4 miliardi di euro l’anno solo per il comparto industriale.
Senza un intervento deciso, l’Italia rischia di diventare un Paese marginale, incapace di competere, attrarre investimenti e offrire prospettive ai suoi cittadini. La reindustrializzazione non è un sogno nostalgico: è una necessità urgente.
Fabrizio Rosboch