
Cobret e altre droghe pesanti, a Roma è allarme tossicodipendenza

Un inquietante fenomeno si sta espandendo nelle periferie e nei luoghi più nascosti della Capitale. Giovani e adulti, sotto l’effetto devastante di Cobret, un micidiale derivato dell’eroina, vengono avvistati mentre barcollano a piedi lungo il Grande Raccordo Anulare, mettendo in pericolo sé stessi e gli automobilisti. La droga, inalata dopo essere bruciata, lascia dietro di sé una scia di fumo serpeggiante che ricorda proprio un serpente, da cui prende il nome. Un mix di alcol e stupefacenti a basso costo, consumato in luoghi nascosti e spesso inaccessibili, alimenta quello che sta diventando un nuovo capitolo nel degrado urbano romano.
Se a Milano il nome di Rogoredo è divenuto simbolo della tossicodipendenza di massa, anche Roma ora vanta le sue versioni, disseminate in parchi, piazze e anfratti. Una delle più preoccupanti è la “Rogoredo” di piazza Pepe, alle spalle del teatro Ambra Jovinelli. Qui si consumano quotidianamente episodi di violenza legati allo spaccio: risse, accoltellamenti e regolamenti di conti tra clochard e stranieri senza fissa dimora. A pochi metri, nei giardini Calipari di piazza Vittorio, due somali sono finiti in ospedale dopo un’aggressione legata, secondo le prime indagini, alla contesa del territorio. Sempre in quella zona è stato rintracciato R.C., 40enne tossicodipendente fuggito dall’ospedale dopo un primo fermo sul Gra.
«La mappa della disperazione si allarga ogni giorno: nessun quartiere è al sicuro», raccontano gli agenti del Gruppo Spe della Polizia Locale. Il problema non si limita alla visibilità dei fenomeni, ma anche alla loro ramificazione nei quartieri residenziali.
I dati raccolti dai volontari di Villa Maraini, impegnati nel recupero dei tossicodipendenti, parlano chiaro: solo nel 2024 sono state raccolte oltre 1.700 siringhe e presi in carico 140 nuovi utenti. Ma la rete delle “Rogoredo romane” si estende ben oltre l’Esquilino. Si trovano accampamenti abusivi lungo gli argini del Tevere e dell’Aniene, nelle case abbandonate di Cinecittà e Magliana, nelle cantine e locali tecnici del Quarticciolo e San Basilio. Non mancano i giardinetti di Trastevere, aree verdi lungo via Palmiro Togliatti o i cortili popolari del Corviale. Persino le dune dei Cancelli, sul litorale romano, sono state trasformate in rifugi per disperati.
Il rischio non è solo legato alla sicurezza pubblica o al decoro urbano: c’è anche il timore per incendi innescati dagli accampamenti improvvisati. «Le zone incolte possono diventare trappole mortali al primo fuoco acceso», spiegano i volontari.